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Enoteca Italia, I Grandi vini italiani.

Gaja Ca' Marcanda

Gaja Ca' Marcanda

Angelo Gaja è, per il vino italiano, l'emblema stesso dell'uomo vincente. È uno a cui bisogna star dietro perché va veloce, e costringe all'inseguimento in tutti i sensi, tanto per quella sua spiccata arte dialettica che per la camminata veloce. Ma pochi forse sanno che c'è stato un momento in cui Angelo Gaja ha rischiato di perdere, quando con caparbia solitudine faceva la spola fra Piemonte e Toscana, in un'andata e ritorno frustrante che si concludeva con rientri notturni privi degli esiti sperati. Ed ogni volta, al buio, la moglie già a letto sembrava che dormisse, invece apriva un occhio e mormorava: "Lo sapevo... quella là è una ca' marcanda...", è una casa del mercato eterno. Ma poi le cose sono andate a posto, e infatti eccoci qua: a Ca' Marcanda. "Bene, l'avventura inizia nel 1996..." Neanche il tempo a chiudere gli sportelli dell'auto che Angelo Gaja, in attesa sulla strada, dà il via alla descrizione del suo secondo avamposto in territorio toscano realizzato dopo la prima incursione in terra di Montalcino (la Pieve Santa Restituta) e che sorge a pochi metri dalla Via Bolgherese, un paradiso per l'appassionato con la sua sequenza di cartelli di aziende celebri o emergenti ma già sulla bocca di tutti. Al 1996, dicevamo, risale l'acquisto di questa tenuta che oggi conta 60 ettari vitati; ma l'idea di espandersi fuori dal Piemonte è di una decina di anni prima, "quando risultò chiaro che eravamo in grado di esprimere energie tali da richiedere un nuovo sfogo. Avevamo uomini e competenze, ma ingrandirci in Piemonte sembrava problematico, ed ecco quindi la scelta della Toscana. Scelta quasi obbligata visto che noi siamo rossisti e volevamo un posto climaticamente più favorito. In questa terra, rispetto al Piemonte è 'una ricreazione'. Sapete quante volte non abbiamo neanche imbottigliato nelle Langhe? Nell '84 niente Barbaresco, nell '87 niente cru, niente imbottigliamento nel '91, '92, '94... una situazione spesso frustrante. Qui si fanno i vini del sole e della luce, una pacchia!", e sarà per questo aspetto "ricreativo" che Gaja ormai divide il sue tempo pressoché in egual misura tra Barbaresco e Toscana. Ma bisogna aggiungere che oltre agli innegabili vantaggi climatici, un ulteriore punto a favore di Bolgheri era una strada già spianata che consentiva di rischiare visto che altri avevano già lavorato per esplorarne le potenzialità del territorio e farle conoscere a dovere. Insomma, il Gaja apripista piemontese in Toscana è andato sulla scia di altri campioni: basta ricordare che quando si trattò di comprare le tenuta gli fu sufficiente guardare un'abbozzata zonazione riportata per colori su lise cartine comunali procurategli dall'allora assessore Piermario Meletti Cavallari (Grattamacco). E non fu difficile puntare su terreni che avessero gli stessi colori di quelli del Sassicaia. Ma di lì in poi le cose non furono così semplici: se per uno come Gaja non dovrebbe essere difficile acquistare un podere, come abbiamo già accennato all'inizio il racconto delle trattative per la compera dell'azienda ricorda invece una commedia di De Filippo, con i vecchi proprietari che "non ci pensavano neanche a vendere" e il caparbio piemontese che le tentava tutte, persino offrendosi di affittare per coltivare il loro vermentino (!), pur di trovare una scappatoia. Una trattativa durata mesi e mesi e conclusasi col colpo di scena, coll'intervento risolutorio di una sorella, anch'essa comproprietaria, che con la sua parola mise tutti d'accordo. Ma ora il mercato è finito e l'azienda è diventata una realtà impressionante, come si intravede gia da un esterno curatissimo dove gli uliveti sono scenograficamente protagonisti, perché se in Langa la vigna significa anche estetica del paesaggio, in Toscana è l'ulivo ad esserne primattore. Un corto vialino porta all'ingresso della cantina, che percorriamo senza neanche capire che siamo su un terrapieno e che la struttura che ci si para di fronte non è che la punta dell'iceberg. "Quelli che vedete sono gli uffici, ma la cantina è completamente interrata e nascosta su tre lati da un terrapieno che abbiamo ricoperto di ulivi: ne abbiamo trasferiti 300 e non ne è seccato uno!" Dell'assoluta precisione e cura nei dettagli sono testimoni proprio gli ulivi perfettamente potati, il prato che è un tappeto verde e le piante di erbe aromatiche che adornano il viale. E la cura dedicata ai prati che circondano la cantina scaturisce direttamente dalla volonta di un Gaja che si lascia andare addirittura ad un'imprecazione scoprendo l'antiestetico segno di uno pneumatico

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  1. Cà Marcanda Bolgheri 2004 Gaja Cà Marcanda lt.0,75
  2. Magari 2006 Gaja Cà Marcanda lt.0,75

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